Storia del Francescanesimo in Puglia

La terra di Puglia non era sconosciuta agli assisani, nonché a Francesco già prima della sua conversione. Terra meta di pellegrini che da ogni parte del mondo cristiano si recavano a visitare i Santuari di S. Michele sul Monte Gargano e di S. Nicola a Bari, essa era inoltre lo scalo obbligato, con i suoi porti di Brindisi, Otranto e Gallipoli, per tutti coloro che si recavano in Palestina per visitare i Luoghi Santi o per combattere contro gli infedeli negli eserciti crociati.

Innamorato della Puglia, Francesco sognò di venirci al seguito del Conte Gentile, per mietere quegli allori cavallereschi che l’angusto ambiente assisiate non poteva offrirgli. Ma l’ambizioso sogno si infranse a Spoleto, a causa di una misteriosa malattia, per fu cui costretto a ritornare ad Assisi (1205). Tuttavia, l’immagine della Puglia non si cancellò più dalla sua mente; vi ritornerà anni dopo, ormai cavaliere di Cristo e di Madonna Povertà, a realizzare il suo generoso e singolare programma di pace e bene.Prestando fede alle molte tradizioni popolari, che non discordano sostanzialmente dai dati storici, si deve ammettere che Francesco è venuto più volte in Puglia: nel 1215-16 (a questo viaggio si annoda il gruppo delle leggende francescano-garganiche) nel 1221-22, di ritorno dall’Oriente dopo la visita ai Luoghi Santi e nel 1224-25. Alla seconda venuta si riferiscono le notizie di storici e cronisti che parlano di Francesco operatore di prodigi e fondatore dei più antichi conventi minoritici: Monte S. Angelo, Molfetta, Bari, Oria, Lecce e Otranto (per limitarci ai più probabili).

E’ certamente documentato che, vivente S. Francesco, alcuni suoi discepoli dimorarono in Puglia. Tra i più noti ricordiamo il beato Benvenuto da Gubbio, morto nel 1231 a Corneto di Puglia, e il beato Giacomo di Assisi, vissuto lungamente a Foggia ove morì (1230).

A qualche anno dalla fondazione dell’Ordine (Rivotorto 1208) i Frati Minori già percorrono la nostra regione; lo storico francese Giacomo da Vitry ne attesta la presenza in Puglia.

Nel (1°) Capitolo di Assisi del 1217 (che portò alla prima organizzazione strutturale, disciplinare e apostolica), presente S. Francesco, l’Ordine fu diviso

in 12 Province-Madri, con a capo un “Ministro Provinciale”, tra le quali figura la Provincia Apuliae, la cui estensione, oltre alle attuali province civili, si estendeva ai territori limitrofi del Molise e della Basilicata, che seguivano allora le sorti della Puglia. Non si conosce il nome del primo Ministro Provinciale (nel 1233 un certo Fr. B.). Emergono, in questo periodo, due religiosi pugliesi per la particolare fiducia accordata loro dal Fondatore: Fra Palmerio del Monte Gargano, che nel 1221 partecipò alla prima spedizione in Germania e fondò poi il convento di Magdeburgo, e Fra Luca da Bitonto, fra i primi missionari in Terra Santa, scelto da Francesco a succedere a Frate Elia come Ministro Provinciale d’Oriente o di Romania.

Nel (10°) Capitolo Generale di Assisi (1230), essendo Generale il beato Giovanni Parenti, la primitiva Provincia Apuliae (forse per la sua vastità) fu scissa in due: la Provincia Apuliae (che nel secolo seguente sarà chiamata Provincia S. Nicolai), estesa alle zone del Barese, Salento e Basilicata; la Provincia S. Angeli, estesa alla Capitanata e al Molise. Primo Ministro Provinciale di S. Angelo, secondo la raccolta del Cronista cinquecentesco Marco da Lisbona, fu un certo Fra Daniele da Capracotta.

Se è facile definire i territori delle due Province, non è lo stesso per il numero complessivo dei Conventi che risalgono a primo cinquantennio. Con una certa probabilità, risalgono ai primordi:

per la Provincia Apuliae i conventi di Barletta, Trani, Andria, Molfetta, Bari, Brindisi, Oria, Lecce, Nardò, Otranto, Montepeloso (Irsina), Venosa; per la Provincia S. Angeli: Isernia, Monte S. Angelo, Cagnano, Ischitella, S. Giovanni Rotondo, Siponto.

La predicazione francescana suscitò anche in Puglia fermento spirituale e travolgente entusiasmo. Il proliferare dei conventi, porterà infatti la Provincia a scindersi in due. Principi e prelati, assecondando l’entusiasmo popolare, largheggeranno in protezione e favori.

Federico II (1194-1250), poco incline alle cose di chiesa, si mostrò favorevole ai frati; ma, colpito dalla scomunica papale (1227) da protettore si trasformò in nemico e prese a perseguitarli.

Caduta la dinastia Sveva, con la morte di Manfredi (1260, Battaglia di Benevento) e salito al trono di Napoli e Sicilia Carlo I d’Angiò (1226-1285), i Frati minori conobbero giorni migliori. Il primo periodo del Regno Angioino segna infatti l’età d’oro per la storia dell’Ordine Francescano nelle nostre contrade. La munificenza di questa dinastia si rivelò in modo speciale nella costruzione di chiese, secondo lo stile del tempo, il gotico, ma con forme e linee sobrie, alla maniera francescana. Sicuramente angioine sono le nostre chiese di Lucera, Bari, Lecce, Brindisi e Taranto, senza contare le minori.

Lo sviluppo raggiunto dalle due Province Pugliesi, per numero di frati e per importanza delle case religiose, in cento anni, dimostra il fervore di spirito dell’Ordine Francescano ed il favore del popolo e del clero. Non ci furono mai, a differenza di altre Province, contrasti notevoli tra preti e frati.

Nemmeno il movimento degli Spirituali (fanatici osservanti della Regola ad litteram et sine glossa), che pur godettero il favore del Re Roberto (+1343) e della Regina Sancia, ebbe alcun seguito e anzi si può dire che fu del tutto sconosciuto. Lo stesso si dica per i Fraticelli, della cui esistenza, unica notizia si ha per il convento di Siponto, dove, più che membri transfughi dell’Ordine

francescano, si trattò di seguaci di Papa Celestino V, che sul Gargano trovò rifugio dopo la fuga e a Vieste fu scoperto e catturato.

La famosa Peste nera (1348-509 che spopolò l’Europa e che obbligò a chiudere molti conventi (con grave danno alla disciplina regolare e all’apostolato), non lasciò tracce rilevanti nella vita delle nostre due Province: il numero dei conventi rimase invariato.

Diversamente invece andarono le cose in seguito alla Scisma d’Occidente. Avendo la Regina Giovanna I (+1382) aderito al papa avignonese Clemente VII (1378-94) tutte le chiese del Regno di Napoli furono trascinate, non senza resistenza, all’obbedienza dell’antipapa. I Francescani, assieme agli altri Ordini, persistettero nello scisma fino a quando poterono rientrare nella obbedienza del Pontefice romano, Bonifacio IX (1389-1404). Artefice di tale felice ritorno (1402) fu il P. Marino da Bari, Ministro Provinciale di S. Nicola, che si adoperò a sanare la frattura e ristabilire la concordia sia tra i frati Minori che fra le Clarisse di Puglia.

I Frati Minori Osservanti, sorti nell’eremo di Brugliano presso Foligno per opera di Fr. Paoluccio Trinci (1368)[1], con l’intento di osservare la Regola nella sua originaria purezza, rinunziando alle dispense di cui l’Ordine godeva, penetrarono in Puglia trent’anni dopo la loro prima comparsa in Umbria. Si propagarono a partire da due centri diversi : Galatina e Lucera. Ma, se si eccettua il passaggio di questi due conventi dall’una all’altra famiglia (dovuto solo a interferenze laicali), non si ha memoria di contrasti fra vecchi e nuovi francescani, i quali lavorarono sempre in fraterna e cortese emulazione. La famiglia conventuale anzi, nonostante le guerre continue, lotte intestine, pubbliche calamità che infestarono tutti il XV secolo, e nonostante la presenza attiva e feconda della Regolare Osservanza, continuò ad espandersi con rinnovata vitalità. Ne sono indice i numerosi

conventi eretti  in questo periodo, ad opera dei Baroni e delle università.

 

I Monasteri delle Clarisse, la preghiera delle quali (secondo l’intenzione del Fondatore) doveva sostenere l’apostolato dei Frati, sorsero poco numerosi, almeno nel primo periodo. Col passare degli anni, essi si moltiplicarono talmente che non c’era città importante che non ne possedesse uno[2]. Le Clarisse di Puglia seguirono in prevalenza la regola mitigata di Urbano VI. Verso il 1300, secondo la serie dei Conventi francescani (detta Series Saxonica) in Puglia si contarono 11 Monasteri; dopo vent’anni, nel Capitolo Generale di Napoli del 1316, furono registrati 9 Monasteri per la Provincia di Puglia e 20 per quella di S. Angelo.

Scarsissime sono le notizie riguardanti le Fraternità del III Ordine, che sorgevano accanto ai Conventi del I Ordine e ne affiancavano

l’apostolato. Nella Series Provinciarum Ragusina (compilata nel 1385) ne sono segnalate 4 per la Provincia di Puglia e 3 per quella di S. Angelo. Ma dovevano essere di più, anche se le notizie pervenuteci sono scarse e imprecise.

Più numerose e fiorenti furono le Confraternite, fondate e dirette dai frati, che si distinsero per la propagazione delle devozioni francescane (specialmente dell’Immacolata) e per le opere di carità cristiana in occasione di pestilenze e di altre pubbliche calamità.

 

Vasta fu la santità suscitata dallo sviluppo dell’Ordine Francescano. Tra i tanti che la Chiesa fregiò col titolo di beati, ricordiamo:

  1. b. Giacomo d’Assisi (+ 19 giugno 1230), compagno di S. Francesco, venuto in Puglia con lui e, secondo tardive testimonianze, costituito guardiano del convento di Foggia, ove morì con insigne opinione di santità e splendore di miracoli.

b. Benvenuto da Gubbio (27 giugno 1231), soldato convertito da Francesco, giunto in Puglia con lui, visse a Corneto al servizio dei lebbrosi. Le molte guarigioni avvenute durante i funerali, indussero Gregorio IX a nominare una commissione di tre vescovi per redigere il processo canonico, che non si

  1. portò a termine a causa dei rivolgimenti politici provocati dalla ribellione di Federico II. Oggi è venerato come compatrono di Deliceto.
  2. b. Adamo Rufo (+ 22 settembre 1232); nativo di Exeter (Exonia) in Inghilterra e discepolo di Roberto Grossatesta maestro ad Oxford, si fece francescano per amore alla Madonna e per il desiderio di andare missionario in terra d’infedeli. Disceso in Italia, per imbarcarsi verso l’Oriente, la morte lo colse a Barletta. Passò alla storia come Adamo il biondo.
  3. b. Gismondo (o Sigismondo) (+14 novembre 1241), vissuto in solitudine in un romitorio della selva di Melfi dove vi morì santamente. La salma venne trasferita nella chiesa di S. Stefano di Ripacandida.
  4. b. Pietro (+ 9 marzo 1241) illustre per prodigi, morto a Cagnano Varano; trovato incorrotto dopo molti anni, fu trasferito in chiesa vicino all’altare.
  1. b. Francesco da Durazzo (+ 19 maggio 1305), di origine albanese, dimorò nel convento di Oria, come fratello laico. Per i suoi molti prodigi, dopo la morte venne proclamato patrono della città.
  2. b. Lando da Taranto (+ 14 agosto 1305), Ministro Prov. e predicatore, noto per la santità e i prodigi. Morì nel convento di Andria.

A questi vanno aggiunti i meno noti, vissuti o morti in Puglia, con fama di virtù e prodigi: i beati Benedetto (de Regno) martire a Bidini in Bulgaria il 12-02-1370, Giacomo da Barletta, morto a Poppi in Toscana, Gerardo della Provincia di Genova, Lorenzo cui una volta parlò il crocifisso, Salimbene morto nel convento di Rodi Garganico, Pietro da Trani, ricordato per i miracoli operati in vita e dopo morte. E inoltre: Fr. Giovanni da Trani (+1321) vescovo di Giovinazzo, il cui corpo si mantenne incorrotto per secoli e Fr. Luca da Copertino (+1425) teologo e religioso ammirevole (fondatore del nostro convento).

La serie dei santi di questo periodo si chiude con i 6 beati Martiri, Macario di Uggiano, Leone da Faggiano, Sergio Bembo, Nicola Epifani, Crisostomo Rio e il Ven. Pacomio da Monopoli, i quali insieme con gli 800 cittadini di Otranto, testimoniarono con la vita la fede in Cristo sul colle della Minerva (+ 14 agosto 1480).

 

 

Il periodo di massimo sviluppo
1517-1810

Lo sviluppo dell’Ordine

Il periodo che va dal 1517 (distacco della Regolare Osservanza dall’Ordine) al 1810 (disastrosi effetti della Rivoluzione francese sugli Ordini Religiosi) segna per le nostre Province, l’epoca della maturità e del massimo sviluppo organico e apostolico.

Nonostante la diffusione dell’Osservanza (da cui presto spunteranno le riforme dei Cappuccini e dei Riformati), l’antica famiglia minoritica riprende il suo ritmo espansivo: più dinamico in S. Nicola, più lento in S. Angelo. Fra i molti conventi sorti nell’epoca, particolare rilievo assunse quello della Grottella in Copertino, assegnato stabilmente all’Ordine nel 1618, dove S. Giuseppe, fra rapimenti ed estasi, trascorse gli anni più sereni della sua vita.

Segno dell’esuberanza di vita del tempo, fu la ricostruzione di chiese e conventi (ad opera dei fedeli e delle Università locali e non più da sovrani o principi) che, guerre, assedi, terremoti, avevano distrutto o danneggiato. Tale fu la sorte (per limitarci negli esempi) delle chiese di Monopoli, Molfetta, Giovinazzo, Barletta e Vieste (riedificate nel ‘500) e di Manfredonia (dopo l’assedio dei Turchi nel 1620), di Foggia, S. Severo, Lucera e Bari, trasformate secondo il Barocco nel ‘700.

La soppressione dei Conventini (che non potevano sostenere 12 religiosi) decretata da Innocenzo X con la bolla Instaurandae (15 ottobre 1652) portò all’abbandono di 10 conventi nella Provincia di S. Nicola e di 20 in quella di S. Angelo. Questi, passati temporaneamente sotto la giurisdizione dei Vescovi con la successiva bolla Ut parvis (10 febbraio 1654), furono in parte recuperati.

La restaurazione religiosa prodotta dal Concilio di Trento (1545-63) trovò immediato favore nelle nostre Province, le quali furono tra le prime ad introdurre la perfetta vita comune (che eliminava radical-mente i vecchi abusi circa l’osservanza della povertà) e a promuovere l’applicazione inte-grale delle nuove Costituzioni Urbane (1628). Queste ultime, col ritorno ad una più marcata povertà ed una pratica più severa di vita comunitaria, portarono ad una nuova fioritura di santità.

Nella provincia di S. Nicola si annoverano: il servo di Dio Fr. Napolitano Scupola di Specchia (+1594); San Giuseppe da Copertino (+1663) e coloro che intorno a lui ruotarono: i due zii, P. Franceschino Desa e il P.M°. Giovanni Donato Caputo, che molta parte ebbero nella sua formazione; Fr. Antonio da Copertino; Fr. Ludovico da Castellana, compagno del santo nei suoi viaggi; il Servo di Dio P. Antonio da S. Mauro, chiamato il pezzente per il alto amore alla povertà e morto a Barletta (+1650). Altri frati che si distinsero sono: il Ven. P. Isidoro Baroni da Oria (+1729); Il Ven. P. Ludovico Costa da Taranto (+1737) e il P. Bonaventura Spinelli di Bitonto (+1766), apostoli della conversione di eretici ed ebrei in Germania e nelle terre danubiane; il P. Michelangelo Sergio.

 

La Provincia di S. Angelo si segnalerà, per la presenza spirituale di San Francesco Antonio Fasani (+1472), maestro saggio e superiore inflessibile (dai Lucerini sarà chiamato il “Padre Maestro”), che imprimerà un’orma profonda nella vita della sua Provincia, non solo col suo governo triennale di Ministro, ma con l’apostolato instancabile durato per 40 anni a Lucera e in tutti i paesi della Provincia.

 

Altri ne raccoglieranno l’eredità e tra questi, il Servo di Dio P. Francesco Antonio Boccoli da Manfredonia (+1767). Compagno di studi del Fasani fu il b. Antonio Lucci da Agnone (+1752) Ministro Provinciale di S. Angelo, Reggente del Collegio di S. Bonaventura in Roma e poi per 23 anni Vescovo di Bovino, dove si distinse per dottrina e carità.

Nella bufera rivoluzionaria

La situazione dell’Ordine alla fine del XVIII secolo, alla vigilia della Rivoluzione francese, la si desume dall’Atlante Geografico dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali edito a Roma nel 1773, e da altri lavori del tempo. La Provincia S. Nicola contava 6 custodie con 55 conventi e quella di S. Angelo, 4 Custodie e 25 conventi. In tutto, 80 conventi (tra grandi e piccoli) con un migliaio di religiosi (sacerdoti, fratelli laici e chierici studenti).

La vita regolare che si conduceva era buona e la disciplina ancorata alle Costituzioni Urbane del 1628, come si può facilmente documentare dalle visite canoniche triennali dei Superiori Generali e di quelli Provinciali. Esse forniscono un quadro obiettivo della vita religiosa di quegli anni, e annotano pregi e deficienze, con relative correzioni e castighi opportuni.

Si parlò e si scrisse molto, in quegli anni di accese polemiche anticuriali e giurisdizionalistiche, sostenute dai regalisti e giansenisti nostrani, contro le eccessive ricchezze dei Frati in genere. In coscienza, però si deve affermare che i conventi dotati di vistoso patrimonio (ed erano pochi) erano male amministrati per l’imperizia dei frati e non era raro il caso che presentassero un bilancio in deficit alle visite dei superiori. Tutti gli altri conventi stentavano a vivere e il loro mantenimento rappresentò la costante preoccupazione dei Ministri Provinciali, i quali nelle loro visite esortavano a contenere le spese e a trovare nuove risorse economiche.

Gravissimo danno alla disciplina delle comunità, alle gerarchie dell’Ordine e alla Chiesa, arrecò la politica regalista della Corte Borbonica, gretta e invadente, e condotta per più di 40 anni dal famoso Ministro Tanucci, campione del giuseppinismo napoletano, che pretese di controllare le nomine dei vescovi, i provvedimenti dei Superiori Maggiori e dei Capitoli Provinciali, le obbedienze (i trasferimenti dei frati) in attesa del regium placet, spesso subordinato a cavilli, interessi, screzi, capricci di qualche potente locale.

Alla vigilia della Rivoluzione (1° settembre 1788) un decreto di Re Ferdinando IV (1751-1825) ordinò che tutti i Regolari del Regno Delle due Sicilie fossero sottratti alla giurisdizione dei Superiori non rignicoli e dei Capitoli che si celebravano fuori dal Regno. Da quel momento si interruppero i rapporti col centro dell’Ordine, le visite canoniche dei Generali si resero rare, i provvedimenti da Roma furono intralciati dal reticolato dei placet.

Dalla Francia giungevano intanto le prime avvisaglie della Rivoluzione, che a tutti prometteva libertà, uguaglianza e fraternità. La Puglia si mantenne estranea alle agitazioni che turbarono la capitale nel 1793. Quando, fuggiti i reali in Sicilia, si proclamò a Napoli la Repubblica Partenopea (1799) il fermento provocò nelle province sommosse di indescrivibile violenza. Ma la massa, non preparata alla novità, insorse contro i repubblicani e inneggiò al Re. Da qui, l’anarchia e la guerra civile, col contorno di vendette, stragi e rovine che caratterizzarono la Puglia del 1799, e dalle quali i nostri religiosi si astennero, cercando di mettere pace tra le fazioni[3].

Soffocata nel sangue la Repubblica Partenopea, rioccupato il Regno dagli eserciti realisti (e qui si inserisce la marcia avventurosa del Card. Ruffo e delle orde calabresi), la pace non ritornò, ma si acuì la crisi di potere, la violenza riprese, rincrudì la vecchia piaga del brigantaggio e, per di più, si aggiunse l’occupazione militare francese (in due fasi: 1801 e 1805) che si rivelò oppressiva e rapace come non mai.

Il 9 febbraio 1806, la corte borbonica scappava per la seconda volta in Sicilia, le truppe francesi occupavano la parte continentale del Regno (non più da ospiti ma da padroni), insediando sul trono Giuseppe Buonaparte (1768-1844), fratello dell’Imperatore Napoleone (1769-1821), a cui succedeva due anni dopo il cognato Gioacchino Murat (1767-1815). Il nuovo regime (che durò 10 anni) introdusse la legislazione rivoluzionaria che sovvertì gli ordinamenti secolari del Regno in campo civile, religioso e sociale. Si attuarono le riforme caldeggiate dagli economisti del ‘700: abolizione della feudalità (avanzo medievale), frazionamento dei latifondi, ripartizione delle terre demaniali (ottimi provvedimenti male eseguiti), abolizione della manomorta ecclesiastica e soppressione degli Ordini Monastici possidenti, con la immediata espulsione dei membri dalle case e dalle chiese regolari. I beni degli Enti soppressi furono incamerati dal fisco e venduti al miglior offerente.

Il furore eversivo si abbattè improvviso come un ciclone e non risparmiò nulla e nessuno: i Conventi furono trasformati in pubblici uffici (caserme, scuole, ospedali, carceri) e pochi andarono ai privati; le Chiese, abbandonate dai legittimi custodi, furono depredate dei tesori d’arte, che finirono nelle collezioni private e molte in Francia; le biblioteche e gli archivi conventuali (ricchi di opere e documenti) furono manomessi e irrimediabilmente dispersi; le proprietà terriere, che dovevano andare a quelli che le coltivavano (i braccianti), finirono per vie non legittime in mano a borghesi esosi e privi di scrupoli.

Dolorosa e sconcertante fu la sorte dei Religiosi: cacciati dai Conventi, furono gettati sul lastrico, senza riguardo all’età, alle condizioni di salute o alla venerazione di cui il popolo li circondava. Il tutto in omaggio al fatidico trinomio di libertà, uguaglianza e fraternità

Soppressione e declino

1810-1900

La restaurazione

Crollato l’Impero Napoleonico e tornati i legittimi sovrani, a molti parve che la restaurazione degli Ordini Religiosi (colpiti dalle leggi eversive del 1809) dovesse effettuarsi automaticamente col ritorno dei frati nei Conventi: ma così non fu. E ciò, non solo per difficoltà obiettive (molti conventi appartenevano ormai a privati; quelli in cui vi erano uffici pubblici, difficilmente vennero restituiti dai Comuni; altri erano stati abbattuti: Altamura, Corato, Giovinazzo, ecc,.) ma soprattutto a causa degli intralci burocratici che il Governo Borbonico opponeva al ripristino delle comunità monastiche.

Col Concordato del 1818 tra il Regno delle Due Sicilie e la Santa Sede fu creata una Commissione esecutrice che, con la sua macchinosa regolamentazione, pareva creata piuttosto a impedire che a favorire la riapertura dei conventi, suscitando odiosi contrasti fra le Famiglie Religiose. Nel 1821 si riuscì ad aprire solo 5 conventi (Bitonto, Oria e Altamura, per la Provincia di S. Nicola; Limosano e Agnone, per la Provincia di S. Angelo) e nessuno nelle grandi città. Da Roma si premeva per la ripresa della vita regolare e il richiamo dei religiosi dispersi. Nel 1816 fu nominato un Commissario Generale (il napoletano P.M. Antonio Santagata) col compito di stabilire rapporti col Governo e la Corte di Napoli, ricevere i Conventi restituiti dalla Commissione esecutrice del Concordato e ripristinare la vita religiosa.

L’esasperante lentezza della restaurazione, indusse nel 1828 il Definitorio Generale dell’Ordine a raggruppare i conventi esistenti in due vaste Circoscrizioni o Province: La Napoletana (Campania, Puglia e Basilicata) e l’Abruzzese (Abruzzo e i 2 conventi di Limosano e Agnone).

Ai primi conventi di Bitonto, Oria e Altamura (1821) si aggiungerà quello della Grottella di Copertino (1823) e poi quelli leccesi di Veglie e Specchiapreti (1837): i sei formeranno la Custodia Pugliese della Provincia Napoletana, fino a quando il Capitolo Generale dell’Ordine (Roma, 1839) non darà licenza di ripristinare l’antica Provincia di S. Nicola (con 6 conventi). Il primo Capitolo Provinciale (21-06-1841) e tutti i seguenti si tennero a Bitonto, sede del Ministro Provinciale, dello studio filosofico e teologico e del Noviziato. Nel 1850 si riaprì il Convento di Carbonara (dove fu sistemato il Collegio degli Aspiranti), e Monte S. Angelo (01-09-1852) e Lucera (tra il 1853 e il 1860) furono riaperti dalla Provincia Abruzzese.

Nel decennio precedente la Soppressione Italiana risultano esistenti 9 Conventi: poveri, senza beni e rendite, con locali ristretti e cadenti. I Religiosi (un centinaio in tutto) stavano riorganizzandosi per rimarginare le ferite della Soppressione Francese e per affrontare le nuove responsabilità che la Patria risorta stava loro per imporre.

 

La Soppressione Italiana

I movimenti politici che in quegli anni turbinosi si agitavano per promuovere l’unità nazionale, non pochi timori funesti suscitavano nell’animo dei Religiosi. Ben nota era la legislazione del Regno di Sardegna (che veniva applicata alle province annesse) apertamente avversa alle Corporazioni monastiche. Ma si continuava a sperare, fidando nelle promesse formulate in Parlamento e sulla Gazzetta: nessuna offesa alla Chiesa e al sentimento religioso, sentito e vissuto dalle popolazioni meridionali. Ma vane furono le speranze, così come bugiarde furono le promesse.

Un decreto luogotenenziale (17-11-1861), un mese prima che il Parlamento proclamasse a Torino l’Italia una, libera e indipendente, sotto lo scettro di Vittorio Emanuele II (1820-1878), primo Re d’Italia, dichiarò soppressi tutti gli Ordini Religiosi esistenti nel vecchio Regno delle Due Sicilie, incamerandone tutti i beni. Cinque anni dopo, ne seguì un altro (17-07-1866) col quale i Religiosi, senza nessuna eccezione, venivano espulsi dai Conventi e rimandati alle proprie famiglie, con una misera pensione che a stento li salvava dalla fame.

La legge, eseguita con poliziesca severità, non tenne conto delle proteste delle vittime, dello scompiglio prodotto nella vita religiosa dei nostri paesi, del danno arrecato al patrimonio artistico che, salvatosi in parte dalla Soppressione Francese, fu vandalicamente disperso. I Conventi divennero municipi, scuole, ospedali, caserme, ecc. e la sorte dei religiosi fu oltremodo penosa. Cacciati dai Conventi, si rifugiarono nei paesi d’origine, nelle proprie famiglie, cercando un’occupazione per vivere, offrendo servigi al clero secolare, conservando la Regola e l’abito serafico sino alla morte.

Per trent’anni la struttura della Provincia rimase sostanzialmente in piedi, anche se i Religiosi vivevano in dispersas domus; ma col passare degli anni, si attenuava la speranza di recuperare qualche convento e le file dei Religiosi assottigliavano. Nel 1872 si contavano 29 Padri e 22 fratelli laici; nel 1885 i Padri scesero a 22 e i fratelli a 20; nel 1898 restavano in vita solo 9 Padri e 3 fratelli. Col primo decennio del XX secolo si perde ogni traccia di essi e il nome della nostra Provincia scompare dall’Album dell’Ordine.

Meritano onorevole menzione i seguenti degni Religiosi vissuti in questo periodo calamitoso: il venerando P. Carmelo Frassanito da Veglie (+1872); P. Giuseppe Olivieri da Corato (? +1903); P. Gioacchino Tedeschi da Terlizzi (+1903); P. Attilio De Mitry da Veglie (+1900) ultimo Provinciale; P. Baldassarre Turi da Canneto (+1900); P. Raffaele Guastamacchia di Terlizzi (+1884) P. Nicola (+1890) e P. Francesco Lillo (l’ultimo della vecchia generazione a morire in Puglia +31-10-1913) di Santeramo. Ad essi vanno aggiunte due consorelle del III Ordine: Rosa Andriani di Francavilla (+1848) e Palma Maria Addolorata Matarrelli di Oria (+1888). Per i prodigi operati sulle loro tombe, si pensò di introdurne la causa di beatificazione, ma tutto finì nel nulla per la dispersione e la scomparsa dei nostri Religiosi.

La rinascita della Provincia di Puglia

1930-1950

 

La morte degli ultimi rappresentanti di quella tribolata generazione di frati, non spense la speranza della rinascita della Famiglia Conventuale in terra di Puglia. Si tentò in ogni modo di recuperare almeno un convento dove riorganizzare la vita regolare, facendovi confluire le vocazioni che si venivano reclutando ad opera dei frati dispersi.

La rinascita della Provincia di Puglia iniziò nel 1930, quando la Provincia di Napoli riaprì il Convento di Copertino, per vivo e tenace impegno di Mons. Muller, Vescovo di Nardò e Gallipoli. Nel 1931, la Provincia delle Marche riaprì il convento di Gravina e nel 1932 quello di Lucera. Durante la seconda guerra mondiale, si riaprirono i Conventi di Spinazzola (1941) e di Monte S. Angelo (1943) che allargarono il raggio di azione dei frati.

Il merito del felice ritorno va ascritto alla Provincia di Napoli che per la seconda volta si fece madre generosa della Provincia Conventuale di Puglia. Il suo Ministro Provinciale, P. Alfonso Palatucci (1922-34), infatti, riaprendo il Convento di Copertino, volle subito erigervi il Collegio Serafico (1930) con lo scopo di reclutare nuove vocazioni pugliesi, necessarie alla rinascita della nuova Provincia.

Nel Capitolo Provinciale, celebrato a Napoli nel 1949, fu accolta la proposta del Ministro Generale, P.M. Beda Hess (+1953) con cui si predisponevano gli opportuni provvedimenti che dovevano preludere a un prossimo distacco dei Conventi Pugliesi, già costituiti in Custodia, dalla Provincia Regolare di Napoli.

Il 6 agosto 1950 (Anno Santo), con atto del Definitorio Generale, in esecuzione del Rescritto Apostolico del precedente 2 agosto 1950, la Custodia Pugliese veniva elevata alla dignità di Provincia, col titolo proprio delle origini, Provincia Apuliae, sotto l’invocazione dei SS. Nicola e Angelo, il cui governo venne affidato al napoletano P.M. Alfonso Palatucci, con la qualifica di Commissario Generale.

La solenne beatificazione del Ven. P. Maestro Fasani (15-03-1951) fu letta come auspicio di più liete fortune per la rinata Provincia. Ad essa seguirono, con ritmo incalzante, le riaperture di altri Conventi: Bari: San Francesco, al Rione Japigia (1951); Corato: parrocchia di S. Francesco (1952); S. Agata di Puglia: chiesa dell’Annunziata e Collegio dei Fratini (1952); Barletta: S. Antonio e Villaggio del Fanciullo (1954).

Altro grande avvenimento del periodo furono le celebrazioni del II° Centenario della Beatificazione di S. Giuseppe da Copertino, con l’arrivo del Cuore del Santo (donato dalla comunità di Osimo) il 12 aprile 1953.

Il 12 ottobre 1958 la Provincia, avendo superato le prime difficoltà organizzative, sotto il governo del 2° Commissario Generale, il napoletano P. Dott. Benedetto Salierno, acquistò la piena autonomia, a norma della Regola Serafica, con la celebrazione del suo 1° Capitolo Provinciale, tenutosi a Barletta, e con l’elezione del 1° Ministro Provinciale, nella persona dello stesso P. Benedetto Salierno.

Ciò avveniva 8 anni dopo la seconda restaurazione della Provincia, 741 anni dalla erezione della Provincia Apuliae, voluta dallo stesso Serafico Padre, e alla vigilia del 750° della fondazione dell’Ordine Minoritico.

 

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